Appello dal Centro Sociale Zapata – Genova

Dopo i fatti che hanno portato alla morte di un ragazzo cileno di 17 anni, Stefano Eduardo, in seguito ad una rissa tra coetanei.

Domenica sera a Genova è successa una tragedia, un giovane ragazzo
cileno, Stefano Eduardo, è morto accoltellato, probabilmente da un
coetaneo nel quartiere di Sampierdarena.Il contesto in cui è maturata
la tragedia è ancora molto incerto.Sicuramente domenica sera lo Zapata
era chiuso, verso le 20.00 un gruppo di 20/30 ragazzi latinoamericani
ha fatto irruzione nel centro sociale assalendo con coltelli, bottiglie
e pietre una quindicina di ragazzi che si trovavano al suo interno per
un compleanno.

Cosa sia successo dopo non è ancora chiaro a
nessuno, quello che certamente sappiamo è che ancora una volta a
Genova, è morto un ragazzo e, in questo momento terribile, ci sentiamo
innanzitutto vicini al dolore della famiglia e degli amici.

Questa
tragedia, in parte purtroppo annunciata, è il frutto del completo
abbandono da parte della città di Genova e delle sue istituzioni e
autorità di una generazione intera di giovani latinoamericani nel
ponente della nostra città.Da quasi 4 anni lo Zapata è luogo di
riferimento di centinaia di giovani latinoamericani.

Il percorso
con le organizzazioni della strada latine, quelle che questura e
giornali chiamavano, e non hanno mai smesso di chiamare,“baby gang”, è
cominciato nel 2006.

In quell’anno, dopo un lungo periodo di
scontri, i 3 gruppi più numerosi decisero di cessare le ostilità, di
uscire allo scoperto, di dimostrare alla città che le loro
organizzazioni erano invece una via d’uscita dalla guerra fra poveri,
una sorta di società di mutuo soccorso, una risposta collettiva e
solidale alla loro condizione di precarietà e marginalità senza
prospettive.

In questi 4 anni assieme allo Zapata ed alle
organizzazioni della strada sono stati organizzati centinaia di eventi
(tornei di calcio, assemblee, incontri pubblici, feste, manifestazioni)
sia a Sampierdarena, sia in tutta Genova.

In questi anni, con poche
forze, sono stati costruiti progetti di partecipazione (musicali,
sportivi, sociali, che hanno portato alla nascita di gruppimusicali, di
squadre di calcio, etc.), momenti di confronto e di crescita
collettiva, coinvolgendo le scuole, l’università, i servizi sociali, il
sert, il consultorio, il teatro Modena, i CIV, qualche assessore, etc.

Abbiamo
sempre inteso il percorso con i ragazzi sudamericani all’insegna della
fine di ogni violenza cieca e inutile, concretizzando nel quotidiano,
allo Zapata e in tutta la città, quel percorso di pace siglato alla
Sala Chiamata del Porto di Genova nel Giugno del 2006.

Alla luce
di questo, non possiamo che prendere le distanze da quanto accaduto e
ribadire quanto andiamo dicendo da anni, perché non è mai accettabile
perdere la vita a 17 anni in questa maniera: chi risolve le proprie
liti con un coltello non è più “fiero” o coraggioso, ma anzi è più vile
e codardo.A chiunque speculerà su questa tragedia per chiedere sgomberi
o interventi repressivi che interrompano un percorso di autogestione,
socialità, lotta e integrazione, che dura da sedici anni, rispondiamo
che rivendicheremo e difenderemo sempre il progetto finora compiuto.

Tutto
questo lavoro è stato fatto, a parte la rete di soggetti intelligenti e
coraggiosi che sopra citavamo, nel deserto più assoluto.

Da parte
delle istituzioni cittadine sono arrivate sostanzialmente solo qualche
pacca sulle spalle, il finanziamento di qualche piccolo progetto e
molte promesse mai mantenute.

Ma cosa molto più grave è che le
stesse istituzioni cittadine non abbiano dato alcuna attenzione né
tanto meno risposte a chi, migrante o italiano che sia, vive e lavora
nei quartieri del ponente genovese.

Invece di cogliere il problema
sollevato, di investire risorse ed energie su di esso e di aiutare chi
lavorava e lavora (non solo noi per fortuna) per inventare alternative
e renderle praticabili ad un numero di ragazzi e ragazze sempre
maggiore, Genova è rimasta alla finestra, contenta che qualcuno
sioccupasse del problema e mugugnosa rispetto alle chances di successo
di questo percorso.

Non si può più stare alla finestra e la tragica morte di Stefano è solo la più terribile delle dimostrazioni.

La
lega e l’assessore Scidone vorrebbero risolvere il problema riempiendo
Sampierdarena di telecamere, di ronde e di alpini, noi pensiamo che
nonservirebbero a nulla, che chi vuole si accoltellerebbe lo stesso,
che i cittadini non si sentirebbero più sicuri ma solo più controllati.

Pensiamo
che sia invece necessario uscire una volta per tutte dalle ambiguità,
investire su una nuova stagione che veda il ponente genovese
(territorio che da sempre ha richiamato uomini e donne di altri luoghi,
persone che venivano a lavorare nelle sue grandi fabbriche o nel porto
e che ora lavorano nell’edilizia o assistendo anziani) rivendicare la
sua natura meticcia, farne un elemento di forza e di orgoglio come è
stato in passato.Invece di spendere miliardi di euro nella gronda di
ponente o di pensare a ronde, alpini e telecamere il comune dovrebbe
pensare allo stato di vivibilità dei suoi quartieri, investire su
percorsi di partecipazione, costruire spazi e servizi per italiani e
migranti, costruire spazi verdi, finanziare chi lavora dal basso nei
quartieri, dare possibilità di studio e lavoro.Noi, con tutte le nostre
forze, continueremo a costruire, giorno dopo giorno, progetti dal
basso, di partecipazione ed autogestione, di lotta politica per uscire
dallo scontro fra poveri… Genova dovrà scegliere se è ancora
accettabile stare alla finestra.

Per adesioni: zapata@dirittinrete.org

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