Una lettera dal tetto dell’ExMondino di Pavia

Tratto da

http://cuapavia.noblogs.org/

Per non rimanere senza un tetto, ci studiamo sopra

Non è facile salire su un tetto, restando aggrappati ai comignoli, rischiando di cadere tre piani piu’ in basso, affrontando il gelo delle notti invernali con solo un sacco a pelo per scaldarsi.

Può sembrare folle, stupido, avventato, ma non stiamo giocando ai piccoli rivoluzionari. Semplicemente non viviamo di speranza, che, come Monicelli ci ha spiegato, è una trappola inferma inventata dai padroni. Nelle prossime righe proveremo a spiegare il significato del nostro gesto, e ciò che in questo posto voleva essere costruito.

Perché siamo qui sopra? Chi siamo?

Siamo studenti che, come molti altri, sono costretti a lavorare per poter studiare: lavori in nero, part-time, precari, per poter pagare le tasse, i libri, gli affitti. Per poterci permettere una degna esistenza.

Per noi il diritto allo studio è una realtà astratta che non abbiamo mai conosciuto, di cui tutti si riempiono la bocca ma che per ora non modifica la nostra condizione.

Tutto costa troppo.

Ci troviamo a studiare nei ritagli di tempo, inseguendo gli appelli per ottenere in prima possibile un titolo di studio che sappiamo ci potrà garantire solo un lavoro e un’esistenza precari.

Per questo ci stiamo ribellando.

Per questo, stanchi di chiedere, abbiamo deciso di costruire (con chi condivide la nostra condizione) qualcosa che migliorasse concretamente le nostre vite.

Per questo abbiamo preso e fatto vivere in uno spazio dismesso e destinato all’abbandono o alla speculazione.

Il nostro progetto è di allestire un luogo in cui i servizi necessari siano gratuiti, e i bisogni in parte colmati. Uno spazio in cui si possa produrre sapere critico attraverso percorsi di autoformazione, uno spazio in cui i percorsi di persone diverse si possano incrociare, squarciando l’individualismo imposto che ci vuole gli uni contro gli altri in un’infinita guerra fra poveri.

Ed è per questo che stavamo allestendo uno studentato, una mensa, un copy-point, uno sportello di aiuto per precari e studenti, un cinema, una sala conferenze e seminari, una biblioteca.

Nonostante l’apertura al dialogo il rettore ha preferito inviare la polizia ordinando lo sgombero dei locali; insomma “questo è il mio feudo e lo gestisco come voglio io”.

Noi però non ce ne andiamo, consapevoli di quello a cui andiamo incontro.

Non possiamo accettare questa condizione e questa reazione da parte delle istituzioni universitarie.

Per questo abbiamo deciso di difendere le nostre scelte salendo sul tetto dell’ex Mondino.

I nostri bisogni sono reali.

Proprio per questo non possiamo piu’ confidare nelle illusorie promesse di un autoritario rettore.

Sappiamo che la nostra condizione è condivisa da molti e molte.

Non vogliamo lottare per loro, ma CON loro, lo spazio serviva anche a questo.

La partita, come abbiamo già scritto, non finisce qui, e non terminerà nemmeno quando scenderemo da questo tetto.

Qui, quando si si chiude, lo decidiamo noi.

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